
Il grido di allarme di Antonella Cortese
Roma, 20 agosto 2025 – «Il carcere non è solo il luogo della pena, ma anche quello della fragilità umana». Con queste parole, la criminologa Antonella Cortese, già presidente dell’AISPIS – Accademia Italiana di Scienze di Polizia Investigativa Scientifica, accende i riflettori sulla crisi del sistema penitenziario italiano.
Dietro le sbarre, a morire non sono soltanto i detenuti, ma anche coloro che hanno giurato di custodirli: gli agenti della Polizia Penitenziaria, troppo spesso dimenticati dalle istituzioni.
Suicidi ed evasioni: una ferita doppia
Ogni suicidio in carcere è un trauma devastante non solo per le famiglie dei detenuti, ma anche per chi indossa la divisa e si sente impotente. Allo stesso modo, ogni evasione rappresenta un fallimento bruciante, spesso causato da carenze strutturali e da organici ridotti al minimo.
Gli agenti vivono turni massacranti, ferie negate, aggressioni quotidiane e l’assenza di adeguato sostegno psicologico.
Gli agenti come presidio psicologico
Per Cortese, i poliziotti penitenziari non sono semplici sorveglianti:
- rappresentano il primo presidio psicologico in carcere;
- parlano con chi ha perso la speranza;
- intervengono nelle crisi;
- sostengono persone fragili, spesso in assenza di medici e psicologi.
Senza di loro, il carcere rischierebbe di collassare nell’anarchia.
La proposta di Antonella Cortese
La criminologa lancia un appello chiaro e concreto:
- più assunzioni immediate per ridurre i turni;
- supporto psicologico obbligatorio per il personale;
- riconoscimento sociale e istituzionale del ruolo della Polizia Penitenziaria;
- formazione mirata su disagio psichico e dinamiche interculturali.
«Difendere la Polizia Penitenziaria – conclude Cortese – significa difendere la giustizia, la sicurezza dei cittadini e la dignità dei detenuti. Perché il carcere uccide anche chi lo custodisce».
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